Critica politica e critica commerciale; valgono gli stessi limiti? Cassazione - Sezione quinta - sentenza 17 ottobre - 11 novembre 2008, n. 42029.
In tema di concorrenza commerciale, il diritto di critica non ha la medesima estensione e profondità che viene riconosciuta dalla giurisprudenza alle censure che si muovono (possono muoversi) quando si valutano le azioni e le opinioni - lato sensu - politiche.
Mentre la critica politica si appunta su persone che volontariamente hanno assunto la rappresentanza dei cittadini (e che dunque a costoro devono, in ogni momento, render conto), la critica “commerciale” ha quale obiettivo un fine, per c.d. “privato”, vale a dire quello di far risaltare la bontà del proprio prodotto, anche a scapito di quello altrui e non deve mai trascendere in atti di concorrenza sleale.
Tale tipo di critica può anche configurarsi quale strumento di lotta commerciale, ma il suo ambito di applicazione si restringe in funzione dell'art. 2598 cc, che al numero 2 qualifica, appunto, come atti di concorrenza sleale, quindi illeciti, la diffusione di notizie e apprezzamenti sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito.
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