Il “controlo analogo” in forma congiunta – Consiglio di Stato, sez. V - sentenza 29 dicembre 2009 n. 8970.
L’art. 330, primo comma, c.p.c. va interpretato nel senso che, nell’ipotesi di mancanza della dichiarazione di residenza o dell’elezione di domicilio al momento della notificazione della sentenza, l’atto di impugnazione va notificato alla parte in uno qualsiasi dei luoghi indicati dall’art. 330 c.p.c. (e cioè presso il procuratore costituito nel giudizio "a quo", ovvero nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per detto giudizio), a scelta della parte impugnante.
La notificazione degli atti giudiziari può ritenersi inesistente quando manchi del tutto ovvero sia stata effettuata in un luogo o con riguardo a persona che non abbiano alcun riferimento con il destinatario della notificazione stessa, risultando a costui del tutto estranea, mentre è affetta da nullità (sanabile con effetto "ex tunc", attraverso la costituzione del convenuto, ovvero attraverso la rinnovazione della notifica cui la parte istante provveda spontaneamente o in esecuzione dell'ordine impartito dal giudice), quando, pur eseguita mediante consegna a persona o in luogo diversi da quello stabilito dalla legge, un collegamento risulti tuttavia ravvisabile, così da rendere possibile che l’atto, pervenuto a persona non del tutto estranea al processo, giunga a conoscenza del destinatario.
L’inosservanza delle modalità di notificazione dell’appello previste dall’art. 330 c.p.c., comporta la nullità della notificazione, ma non la sua inesistenza né la nullità dell’appello, con la conseguenza che in materia trova applicazione il principio della sanatoria dell’atto processuale nullo in caso di raggiungimento dello scopo con effetto retroattivo (art. 156 c.p.c.); pertanto, in tale ipotesi, la costituzione dell’appellato sana, con effetto ex tunc, ogni eventuale vizio della notificazione dell’atto di appello.
Nel caso di una società compartecipata - ancorché in via totalitaria - da più enti pubblici, che sia diretta affidataria di un servizio pubblico locale, il requisito del "controllo analogo", inteso nei sensi della "dottrina Teckal", necessario per ritenere legittimo l’affidamento in house di appalti pubblici, non postula necessariamente anche il "controllo", da parte del socio pubblico, sulla società e, in via consequenziale, su tutta l’attività, sia straordinaria sia ordinaria, da essa posta in essere, assimilabile a quello, individuale, delineato dai primi due commi dell’art. 2359 c.c., essendo, invece, sufficiente che il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario sia effettivo, ancorché esercitato congiuntamente e, deliberando a maggioranza, dai singoli enti pubblici associati. Infatti, il requisito del controllo analogo non sottende una logica "dominicale", rivelando piuttosto una dimensione "funzionale": affinché il controllo sussista anche nel caso di una pluralità di soggetti pubblici partecipanti al capitale della società affidataria non è dunque indispensabile che ad esso corrisponda simmetricamente un "controllo" della governance societaria.
Il requisito del "controllo analogo", necessario per il legittimo affidamento diretto di appalti pubblici ad una società, postula un rapporto che lega gli organi societari della società affidataria con l’ente pubblico affidante, in modo che quest’ultimo sia in grado, con strumenti pubblicistici o con mezzi societari di derivazione privatistica, di indirizzare "tutta" l’attività sociale attraverso gli strumenti previsti dall’ordinamento; risulta quindi indispensabile che le decisioni più importanti siano sempre sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante o, in caso di in house frazionato, della totalità degli enti pubblici soci.
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