I confini dell’ esercizio del diritto di satira. Cassazione – sezione III civile – 8 novembre 2007, n. 23314.

1. La satira, al pari di ogni altra manifestazione del pensiero, non può infrangere il rispetto dei valori fondamentali della persona, per cui non va riconosciuta la scriminante di cui all'art. 51 c.p. per le attribuzioni di condotte illecite o moralmente disonorevoli, gli accostamenti volgari o ripugnanti, la deformazione dell'immagine in modo da suscitare disprezzo o dileggio; più particolarmente è da escludersi la scriminante nella satira che, trasmodando da un attacco all'immagine pubblica del personaggio, si risolva in un insulto gratuito alla persona in quanto tale  o nella rappresentazione caricaturale e ridicolizzante di alcuni magistrati posta in essere allo scopo di denigrare l'attività professionale da loro svolta attraverso l'allusione a condotte lesive del dovere funzionale di imparzialità.
2. Per essere legittima e prevalere sul diritto alla reputazione dei singoli il diritto di critica deve essere esercitato entro limiti oggettivi fissati dalla logica concettuale e dall'ordinamento positivo.
Occorre, cioè, un bilanciamento dell'interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero costituzionalmente garantito; bilanciamento da ravvisarsi nell'interesse dell'opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critiche, che è presupposto da essa ed è perciò fuori di essa, bensì di quella determinata interpretazione del fatto.
3. Nell'esercizio del diritto di critica si possono adoperare espressioni di qualsiasi tipo che si risolvano in lesione dell'altrui reputazione, purché siano funzionali alla manifestazione di dissenso ragionato dall'opinione o dal comportamento altrui; non sono, invece, ammessi apprezzamenti negativi che degradino in gratuita aggressione distruttiva della reputazione, discreditando la vita altrui in qualcuna delle sua manifestazioni essenziali.

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