Sul risarcimento del «danno non patrimoniale»: un congruo iter argomentativo e la necessaria personalizzazione del risarcimento prevalgono sulle “tabellizzazioni” del danno – Corte di Cassazione, sez. III civile, sent. 31 marzo 2010, n. 7786.

La censura secondo cui la Corte d’appello abbia ridotto la quantificazione del danno c.d. morale (voce di danno “notoriamente indennizzata con un importo variabile dalle lire 500.000 alle lire 2.000.000 per ogni punto di invalidità permanente ragguagliata alla natura ed entità delle lesioni subite e dalla intensità di turbamento e dalle sofferenze fisiche e psichiche sofferte dal danneggiato, considerata peraltro la possibilità di assorbimento del quadro lesivo da parte di una persona di giovane età”) riformando la valutazione fattane dal giudice di prime cure (secondo cui il danno c.d. morale va liquidato in una frazione compresa tra un quarto ed un mezzo del c.d. danno biologico) si risolve in una mera prospettazione di una diversa possibile quantificazione, non coinvolgendo in alcun modo la sufficienza e la coerenza dell’iter argomentativo della decisione del giudice dell’appello, il quale abbia fra l’altro prestato ossequio all’esigenza della necessaria personalizzazione del risarcimento
Peraltro, la mera produzione di un documento in appello non comporta automaticamente il dovere del giudice di esaminarlo, essendo piuttosto necessario, in ossequio all’onere di allegazione delle ragioni di doglianza sotteso al principio di specificità dei motivi di appello, che alla produzione si accompagni la necessaria attività diretta ad evidenziare il contenuto del documento, ed il relativo significato, ai fini della dimostrazione della «ingiustizia» della sentenza impugnata (nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto che detto onere di allegazione fosse stato soddisfatto, alla luce del fatto che l’abilitazione del ricorrente all’esercizio della professione forense era subentrata in epoca successiva all’udienza collegiale del giudizio di appello).

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