Autonomia del giudizio di ottemperanza. Corte di Cassazione, Sez. I Civile - sentenza 23 gennaio 2009 n. 1732.
La definizione del giudizio di ottemperanza come prosecuzione del processo di cognizione, non infrequente nella prassi, riveste mera natura empirica (si parla anche di giudicato a formazione progressiva), in accezione descrittiva dello specifico mezzo processuale satisfattivo a disposizione della parte vittoriosa in forza di una sentenza non autoesecutiva. Resta però innegabile il suo carattere di spiccata autonomia, irriducibile sotto il profilo strutturale ad una mera fase (e tanto meno, ad un grado) dello stesso processo di cognizione; autonomia, resa vieppiù evidente dal requisito della procura ad hoc.
Il processo esecutivo promosso dalla parte vittoriosa in caso di mancato adempimento spontaneo della sentenza civile di condanna si distingue da quello di cognizione, di cui, in nessun modo, potrebbe essere considerato un prolungamento (come dimostrato anche dalla normale diversità dell’organo giudiziario competente rispetto a quello che ha emesso la sentenza definitiva e dalla stessa possibilità che al suo interno germoglino ulteriori processi autonomi, inizialmente in forma di subprocedimenti esecutivi (art. 615 cod.proc. civile: opposizione all'esecuzione; art.617: opposizione agli atti esecutivi; art.619: opposizione di terzo; art. 548: accertamento dell'obbligo del terzo ecc.), ciascuno dei quali sindacabile, singolarmente, sotto il profilo della ragionevole durata.
I poteri del giudice di ottemperanza sono quindi ben più ampi di quelli del giudice dell'esecuzione ordinaria, sebbene investano il merito solo in ordine alle modalità di traduzione pratica del titolo giudiziario. Anche nell'ambito del processo esecutivo, infatti, conserva pieno vigore il limite generale di cui all'art.4, legge 20 marzo 1865, n.2248) all. E che inibisce al giudice ordinario la revoca o modifica dell'atto amministrativo.
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