Chi trae in inganno il pubblico ufficiale risponde di falsa attestazione del privato e falsità per induzione in errore. Cassazione Penale, Sezioni Unite, sentenza del 24 settembre 2007, n. 35488.
1. Stante il rapporto di causa-effetto tra il fatto attestato dal privato, quale presupposto dell'emanazione dell'atto del pubblico ufficiale, ed il contenuto dispositivo di quest'ultimo e stante, altresì, la stretta connessione logica tra l'uno e l'altro, la falsità del primo si riverbera sul secondo e diventa essa stessa falsità di questo, sicché la recepita falsa attestazione del decipiens acquista la ulteriore veste di falsa attestazione del pubblico ufficiale deceptus sui fatti falsamente dichiarati dal primo e dei quali l'atto pubblico è destinato a provare la verità.
Si configurano perciò, anche sotto il profilo naturalistico, due condotte riconducibili al decipiens: una prima condotta consistente nella redazione della falsa attestazione ed una seconda concretatasi nell'induzione in errore del pubblico ufficiale mediante la produzione della stessa ai fini dell'integrazione di un presupposto dell'atto pubblico emanando, con conseguente configurabilità del concorso materiale tra i due reati, legati anche da connessione teleologica.
2. Nell'atto del pubblico ufficiale non deve necessariamente riscontrarsi un "quid pluris" (cioè una situazione di fatto più ampia) rispetto alla dichiarazione non veritiera o all'atto falso prodotto dal privato, poiché il reato previsto e sanzionato dell'art. 479 cod. pen. può essere commesso con modalità molteplici (come risulta evidente dalla stessa formulazione della norma incriminatrice) ed in particolare attraverso la falsa attestazione non soltanto di vicende che hanno comportato la partecipazione attiva e diretta del pubblico ufficiale, bensì anche e comunque, indipendentemente da ciò che questi ha compiuto, di "fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità" (art. 479, ultima parte, cod. pen.), fatti suscettibili di prova storica attraverso la loro attestazione.
3. Ne consegue l’affermazione del principio secondo cui chi induce un pubblico ufficiale in errore rendendo dichiarazioni false si macchia di due reati in concorso fra loro e non di uno solo: falsa attestazione del privato e falsità per induzione in errore nella redazione dell’atto pubblico. Il delitto di falsa attestazione del privato può, infatti, concorrere - quando la falsa dichiarazione del mentitore sia prevista di per sé come reato- con quello della falsità per induzione in errore del pubblico ufficiale nella redazione dell’atto al quale l’attestazione inerisca, sempreché la dichiarazione non veridica del privato concerna fatti dei quali l’atto del pubblico ufficiale è destinato a provare la verità.
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