Principio di autonomia tra l’ordinamento sportivo ed il diritto statuale. Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, n. 1048 del 08.11.2007.
E’ dunque riservata all’ordinamento sportivo, in forza della corretta esegesi degli artt. 1, 2 e 3 del D.L. 19 agosto 2003, n. 220, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 17 ottobre 2003, n. 280, con il corollario che ogni giudice statuale difetta in radice di giurisdizione in proposito, ogni questione avente ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive. Lo Stato ha dichiarato apertamente il proprio disinteresse al riguardo. Pertanto, per l’art. 3 del predetto decreto, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti, tra ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive, soltanto quelle non riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’articolo 2, sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo. Per quelle riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo resta esclusa la giurisdizione tanto del giudice ordinario, quanto di quello amministrativo, non essendovi competenza di alcun ufficio giudiziario, né dell’uno né dell’altro plesso giurisdizionale. In quanto riservate all’ordinamento sportivo, per definizione di legge tali controversie sono infatti prive di ogni rilievo per il diritto statuale, anche nelle ipotesi che le stesse quasi sempre producono conseguenze patrimoniali indirette di rilevantissima entità. Ed è errato, così ragiona il Collegio, affermare – con il sin troppo facile grimaldello esegetico delle conseguenze patrimoniali - una rilevanza per l’ordinamento giuridico statale di situazioni giuridiche soggettive con l’affermazione della sussistenza della giurisdizione amministrativa. Va al riguardo affermato che ex art. 101, II comma, Cost. il giudice è soggetto alla legge dello Stato, che egli è sempre tenuto ad applicare per quale essa è, e comunque del tutto a prescindere da ogni soggettiva condivisione. I casi, invece, di rilevanza per l’ordinamento dello Stato delle situazioni giuridiche soggettive, connesse con l'ordinamento sportivo, sono attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario ed a quella esclusiva del giudice amministrativo.
Il primo comma dell'art. 3 del decreto legge, in particolare, devolve al giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti. Alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, invece, è devoluta “ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o dalle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'art. 2”.
In tale contesto risulta legittima la scelta del legislatore ordinario di stabilire che, quando un imprenditore decida di operare nel settore dello sport, resti interamente ed esclusivamente assoggettato alla disciplina interne dell’ordinamento sportivo (cui la legge ha voluto riconoscere la più ampia autonomia), ma limitatamente di cui alle ricordate lettere a) e b) del citato art. 2, comma 1, del d.l. n. 220/2003. Tale scelta, infatti, essendo stata operata a livello primario, non è soggetta ad altro vaglio che a quello costituzionale, che nel disciplinare l’iniziativa economica ne afferma all’art. 41 la mera libertà.
Tutta la questione ruota in effetti intorno al difetto assoluto di giurisdizione del giudice adito.
Va, inoltre, puntualizzato a mò di nota di colore che il giudizio di appello ha riguardato esclusivamente la sentenza del T.A.R. Catania, ma non anche l’ordinanza del T.A.R. del Lazio n. 1664/2007, la quale ha revocato il provvedimento emesso dal primo giudice di pari grado. Premesso, infatti, che il Consiglio ritiene di non avere nessuna competenza, quale giudice di appello, sui sui provvedimenti giurisdizionali resi dal T.A.R. Lazio, sembra allo stesso evidente che la declaratoria di (assoluto) difetto di giurisdizione, travolgendo ab imis il ricorso originario, renda privo di oggetto, e perciò anche di effetto, ogni statuizione che su di esso sia stata resa, ovvero che da esso abbia comunque tratto origine. Quanto al carattere preliminare da riconoscere a quella di giurisdizione rispetto ad ogni altra questione, il Consiglio evidenzia che, identificandosi la competenza con la porzione di giurisdizione spettante a ciascun giudice di uno stesso plesso giurisdizionale, in capo a nessun giudice può ritenersi radicata la competenza a conoscere di una domanda per cui il plesso cui egli appartiene difetta in radice di giurisdizione.
Della conformità ai principi costituzionali del dato normativo in esame si è già detto; giova adesso aggiungere che la tutela degli associati nei confronti delle associazioni esiste in quanto è positivamente prevista dagli artt. 23 e 24 c.c. che, riconoscendo come diritti gli interessi che essi hanno internamente all’associazione, aprono la strada della tutela giurisdizionale.
In proposito, va altresì ricordato che tale tutela è riconosciuta direttamente dall’ordinamento giuridico solo per le situazioni giuridiche soggettive disciplinate espressamente da una norma di legge (“Le deliberazioni dell'assemblea contrarie alla legge […] possono essere annullate”: art. 23 c.c.); mentre nella mancanza di una norma diretta che elevi un interesse di fatto a interesse giuridicamente protetto, il parametro della tutela giurisdizionale è espresso solo dal negozio associativo e dal suo contenuto (“[…] contrarie […] all’atto costitutivo o allo statuto […]”: art. 23 c.c.), come applicazione di specie del generalissimo principio di cui all’art. 1372, I comma, c.c., secondo cui “Il contratto ha forza di legge tra le parti”. Ove, cioè, la legge non disciplini direttamente i comportamenti degli associati e le conseguenze di essi, la norma di riferimento è quella stessa posta dal negozio associativo, e quindi, a maggior ragione, solo al negozio associativo ci si deve riferire nel caso in cui l’ordinamento giuridico statuale espressamente riconosca di essere indifferente rispetto a una disciplina destinata a regolare rapporti che nascono e si sviluppano solo a causa e in funzione del negozio associativo, influendo in via diretta solo sui meccanismi interni dell’associazione stessa.
Esattamente in questa ottica, e facendo applicazione di questi elementari principi liberali (di libertà negoziale o, meglio, di libertà tout court), l’art. 2 del D.L n. 220/2003, nei ristretti limiti di cui alle ricordate lett. a) e b) del comma 1, ha sostanzialmente qualificato quali meri interessi (non tutelati, cioè, né in sede giurisdizionale né in sede amministrativa) tutti quelli concernenti “l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale”, nonché l’esatta valutazione dei “comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”.
Tale opzione senz’altro rientra nell’esercizio, costituzionalmente legittimo, della discrezionalità del legislatore, che è tenuto bensì ad assicurare piena tutela ai diritti soggettivi e agli interessi legittimi, ma senza che gli sia in radice preclusa la scelta di quali tra le molteplici situazioni di interesse di fatto – che in sé non afferiscano direttamente a beni costituzionalmente intangibili, tra i quali non si ascrivono certo le conseguenze patrimoniali indirette delle attività sportive di qualsiasi livello – meritino di essere qualificate come diritti soggettivi o interessi legittimi.
Poiché il decreto legge n. 220 del 2003 non ha operato tale scelta in modo criptico né opinabile (giacché in tal caso assai ampio sarebbe stato lo spazio esegetico dell’interprete), bensì in modo espresso e inequivoco, ritiene il Collegio che al giudice che voglia applicare la legge non resti altra possibile alternativa, in tutti i già ricordati casi, che rendere la declaratoria di difetto assoluto di giurisdizione.
Infine, va rilevato che, sotto un ultimo profilo, la circostanza che i ricorrenti possano agire contrattualmente, in altre sedi, verso il Catania Calcio s.p.a., non li abilita tuttavia ad agire per l’annullamento (né per la disapplicazione) di atti dell’ordinamento sportivo rispetto ai quali la legge dello Stato ha espressamente affermato il proprio disinteresse, avendoli qualificati a ogni effetto come irrilevanti per l’ordinamento giuridico statuale. Infatti il diritto di credito dell’abbonato – tutelato verso la società debitrice, ovvero anche erga omnes – non legittima quest’ultimo a esercitare, in via sostanzialmente surrogatoria, azioni giurisdizionali che, ai sensi del cit. D.L. n. 220/2003 e alla stregua di quanto si è sopra osservato, sono radicalmente precluse a chiunque.
D’altronde, né i diritti contrattuali verso il Catania Calcio s.p.a. radicano nei creditori alcun interesse legittimo rispetto a vicende sportive di cui è la stessa legge a escludere ogni rilievo per l’ordinamento giuridico, e con esso la sussistenza di ogni giurisdizione pubblica; né, ai fini in discorso, assume alcun rilievo il fatto che – a partire da Cass., S.U., 26 gennaio 1971, n. 174 – la giurisprudenza civile ammetta la tutela erga omnes del credito attribuendo al creditore l’azione aquiliana verso il terzo che ha reso impossibile la prestazione.
Sotto ulteriore profilo, l’inammissibilità, per la ragione già esposta, delle esaminate domande risarcitorie consegue, altresì, al fatto che le stesse sono state in questa sede concretamente formulate come conseguenziali e complementari rispetto all’illegittimità degli atti impugnati, pretesamente amministrativi, e dei quali era stato richiesto l’annullamento: sicché il difetto di giurisdizione sugli atti interni all’ordinamento sportivo preclude la cognizione anche sulle formulate domande risarcitorie.
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