Illegittimo demansionamento? Mobbing ed abuso d’ufficio. Cassazione penale, sez. VI, sentenza 7 novembre 2007, n. 40891.
Il mobbing viene in rilievo in presenza di comportamenti con cui il datore di lavoro o il superiore gerarchico esercita una sorta di terrorismo psicologico (fatto di vessazioni, umiliazioni, dequalificazioni professionali, eccessivo ricorso alle visite mediche di controllo anche a fronte di referti confermativi della patologia denunciata dal lavoratore, ecc.), nei confronti di uno o più dipendenti, così da coartarne o piegarne la volontà, determinando sovente gravi patologie interessanti la sfera neuropsichica del soggetto esposto.
Quanto all'elemento soggettivo del reato di abuso d’ufficio, l'avverbio intenzionalmente, che figura nel testo della norma incriminatrice, esclude la configurabilità del dolo sotto il profilo indiretto od eventuale; e richiede che l'evento costituito dall'ingiusto vantaggio patrimoniale o dal danno ingiusto sia voluto dall'agente e non già semplicemente previsto ed accettato come possibile conseguenza della propria condotta, in ipotesi diretta ad un fine pubblico, sia pure perseguito con una condotta illegittima. Ciò, beninteso, a patto che il perseguimento di tale fine non rappresenti un mero pretesto, col quale venga mascherato l'obiettivo reale della condotta.
Ne deriva che, per escludere il dolo sotto il profilo dell’intenzionalità, occorre ritenere, con ragionevole certezza, che l'agente si proponga il raggiungimento di un fine pubblico, proprio del suo ufficio.
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