L’abuso del diritto viene riconosciuto come un principio generale dell’ordinamento: il recesso ad nutum non può mai trasformarsi in un recesso arbitrario. Cassazione civile, sezione terza, sentenza 18.09.2009, n. 20106.
Le scelte dettate da valutazioni economiche operate dalle diverse parti del contratto non sono oggetto del sindacato del giudice, le modalità di esercizio del potere contrattuale riconosciuto alle parti dall’autonomia privata non può invece sottrarsi ad esso..
La buona fede oggettiva, intesa come correttezza e lealtà nei rapporti tra le parti contrattuali costituisce un canone generale al quale deve essere improntato ogni atto di autonomia privata.
L’esercizio dell’autonomia privata deve essere censurato dal giudice, quando il comportamento di una delle parti, considerata anche la sua posizione di supremazia contrattuale ed economica, si ponga in contrasto con i canoni generali di buona fede e lealtà, poiché il giudice, nel controllare ed interpretare l'atto di autonomia privata, deve operare ed interpretare l'atto anche in funzione del contemperamento e dell’equilibrio degli opposti interessi delle parti contrattuali.
Il diritto di recesso ad nutum, pur previsto e riconosciuto dall’ordinamento, non può trasformarsi in un recesso arbitrario, nell’ottica del contemperamento degli interessi delle parti in causa, provata disparità di forze fra i contraenti, la verifica giudiziale del carattere abusivo o meno del recesso deve essere più ampia e rigorosa e può prescindere dal dolo e dalla specifica intenzione di nuocere.
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