Estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni: linea dscretiva. Cassazione penale – Sezione VI – 24 ottobre 2007, n. 39366.

Costituisce estorsione e non esercizio arbitrario delle proprie ragioni l'impiego di violenza o minaccia per ottenere l'adempimento di una c.d. "obbligazione naturale", essendo esclusa, per siffatto genere di obbligazioni, la proponibilità dell'azione davanti al giudice civile ed essendo, altresì, esclusa l'eccezione della "soluti retentio" in caso di adempimento coatto.
Può correttamente parlarsi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con minaccia alle persone soltanto se il comportamento dell'agente si sia concretato nella realizzazione di una pretesa di diritto mediante la sostituzione della privata violenza alla coazione del provvedimento giudiziale.
Infatti, il delitto di cui all'art. 393 c.p. si traduce nell'indebita attribuzione a se stesso, da parte del privato, di poteri e facoltà spettanti esclusivamente al giudice e l’agente, com’è noto, deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli competa effettivamente e giuridicamente in toto. Ne consegue che, all'esito di una tale verifica in fatto, anche in ordine all'elemento soggettivo della condotta contestata, resta escluso il reato di cui all’art. 393 c.p. quando trattasi di pretesa illegittima in tutto o in parte, ovvero sia giuridicamente impossibile il ricorso al giudice: in tal caso l'opinato diritto si potrebbe ragionevolmente risolvere in un mero pretesto per mascherare altre finalità cui sia stata improntata la minaccia della condotta.

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